Rieccomi a parlare nuovamente di ansia: questa volta collegandola ad alcuni aspetti depressivi e approfondendo nello specifico alcuni pensieri che possono capitare ad ognuna di noi. Sul web non se ne parla molto, il tema forse è troppo impopolare o difficile da trattare. Voglio parlare di quei pensieri spaventosi che a volte in condizioni di forte stress e tensione ci capita di fare su nostro figlio: “Non lo sopporto più”, “Se non smette di piangere non rispondo più di me”, “a volte lo odio”, “vorrei riempirlo di botte”, “e se gli facessi del male?”, “era meglio quando non ero madre”,“mi sento risucchiata e annullata da mio figlio”. A chi di noi non è mai capitato di fare almeno una volta uno dei pensieri appena elencati? Pensieri di questo tipo possono provocare emozioni di vergogna o colpa e portare a giudicare noi stesse come madri inadatte, indegne, pericolose, pazze. Ma davvero fare questi pensieri ci rende pazze o non degne di essere madri? Al riguardo bisogna fare alcune precisazioni: se questi pensieri si associano ad almeno altri cinque sintomi come un umore depresso, perdita di peso, disturbi del sonno, pensieri di morte, riduzione della concentrazione, irritabilità, rallentamento motorio, confusione mentale, agitazione psicomotoria, perdita della libido e mancanza di energia allora sarà utile rivolgersi ad uno specialista che potrà fornirvi l’aiuto necessario. Ma se si tratta di pensieri isolati magari prodotti alla fine di una giornata particolarmente stressante o in un periodo particolarmente difficile e se non sono associati ad umore depresso e a perdita di interessi ed energia, allora possiamo tranquillizzarci: non siamo madri indegne né in procinto di impazzire. Dobbiamo semplicemente imparare a non dare troppo peso a questi pensieri, a non condannarci e ad essere gentili e buone con noi stesse. Paul Gilbert, professore di psicologia clinica all’università di Derby e fondatore della Compassion Focused Therapy, utilizza il termine compassione per indicare un atteggiamento di amorevole gentilezza e attenzione compassionevole verso noi stessi: secondo Gilbert è importante imparare ad assumere un atteggiamento non giudicante e accogliente verso le nostre sofferenze o debolezze. L’arrivo di un figlio è un evento che modifica radicalmente la nostra vita, subirne gli effetti è del tutto naturale e fisiologico. Un figlio limita le nostre libertà, cambia le nostre abitudini, dipende completamente da noi, vuole tutte le nostre attenzioni: sentirsi risucchiate e annullate può essere normale; è normale anche provare sentimenti di rabbia quando alla fine di una giornata faticosa nostro figlio non si addormenta alla sua solita ora oppure continua a piangere in modo inconsolabile. L’atteggiamento più utile che potete avere, oltre a quello di non giudicarvi, è quello di non spaventarvi. Per quanto terribili essi siano sono solo pensieri che la nostra mente produce in determinate condizioni: non corrispondono a fatti. Possono essere di natura intrusiva e affacciarsi nella nostra mente in maniera insistente ma questo non li rende attendibili o pericolosi. Cercate di prendere le distanze da questi pensieri, di accoglierli come fossero delle storie che la vostra mente vi racconta: “ah,ecco di nuovo la storia della madre che sta per impazzire”. Non vi arrabbiate con voi stesse per il fatto di fare questi pensieri, semplicemente notateli e lasciateli andare, esattamente come quando ci capita di guardare dalla finestra le macchine che passano. Sono pensieri. Brutti, spaventosi e dolorosi. Ma solo pensieri.
Author: Linda Intreccialagli
Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale