Secondo una classificazione di circa 40 anni fa ma ancora attuale esistono tre stili educativi:
Genitore Autoritario. È dittatoriale e dispotico; chiede che il bambino si adatti ai suoi rigidi standard di valutazione. È percepito dal bambino come poco caloroso e affettuoso. Possiamo pensare ai padri di una volta: poco affettuosi molto normativi.
Genitore Permissivo. (ahimè sono io!) È accettante, focalizzato sul bambino, responsivo, cioè attento ai suoi bisogni; chiede e pretende poco, dà poche punizioni, lasciando il bambino del tutto libero di autogestirsi. Possiamo pensare ai genitori del periodo della rivoluzione sessuale e del femminismo: lasciano fare, responsabilizzano presto, creano con il figlio una relazione amicale.
Genitore autorevole. Chiede livelli di prestazioni adeguati all’età, fa rispettare le regole ma tiene conto dei bisogni e del punto di vista del bambino. Gli studi hanno dimostrato che uno stile educativo autorevole aumenta i livelli di felicità e di autostima. Non solo: i bambini con un buon sviluppo emotivo, relazionale e persino scolastico, sono quelli cresciuti con genitori che hanno mostrato nei loro confronti un elevato grado di sintonia, connessione e affetto e che però hanno fatto rispettare limiti chiari e aspettative elevate.
In questo senso Siegel e Bryson nel loro libro sulla disciplina suggeriscono di porsi tre brevi domande prima di affrontare un comportamento sbagliato:
Perché si è comportato così?
Cosa voglio insegnargli in questo momento?
Come posso fornire questi insegnamenti nel modo migliore?
Se ci soffermiamo su queste domande scopriremo che molti dei cattivi comportamenti riguardano non la mancanza di volontà, ma l’impossibilità di fare altrimenti. Non si tratta di non volere ma di non potere: non possono comportarsi diversamente perché non ne sono ancora capaci. Come ho già spiegato in un altro articolo (“Crisi di rabbia o di pianto?“), i nostri figli diventano aggressivi con noi non perché siano violenti o perché abbiamo fallito come genitori ma perché non hanno ancora la capacità di regolare i propri stati emotivi e di controllare gli impulsi. Nel cervello di un bambino che non è ancora completamente sviluppato la possibilità di regolare le proprie emozioni risente di molteplici fattori tra cui lo stato fisico e mentale. Esattamente come accade per noi adulti. Possiamo essere genitori amorevoli e premurosi ma perdere la pazienza per un nonnulla se veniamo fuori da una giornata molto faticosa e stressante. Ricordarci delle tre domande ci permetterà di entrare in sintonia con lo stato d’animo di nostro figlio e di attivare quella parte superiore del cervello deputata al ragionamento e alla capacità di calmarsi: invece di dare ordini o aggredire proviamo a chiedere cosa lo abbia fatto arrabbiare e ad empatizzare con il suo stato d’animo. In questo modo disattiveremo le regioni inferiori del cervello sempre pronte a fare fuoco e creeremo lo spazio per l’apprendimento.
Con questo non voglio dire che non si debbano dire dei “no”, mettere dei limiti o che si debba giustificare sempre tutto. I limiti sono fondamentali per uno sviluppo completo del nostro cervello. Nel sistema nervoso autonomo ci sono due componenti: la componente simpatica che si può paragonare all’acceleratore di una macchina e quella parasimpatica che rappresenta il freno. L’acceleratore (sistema simpatico) ci porta a seguire gli impulsi e gli slanci, il freno (sistema parasimpatico) ci aiuta a fermarci e controllarci. L’equilibrio tra acceleratore e freno è fondamentale per la futura capacità di gestire le proprie emozioni. Quando poniamo dei limiti al comportamento di un bambino lo stiamo aiutando a tenere in equilibrio le due parti del sistema nervoso autonomo. Inibire anche repentinamente un comportamento sbagliato può far attivare nel bambino un senso di vergogna: vuol dire che stiamo facendo un buon lavoro! Un sano senso di vergogna che non sfoci nell’umiliazione o nella svalutazione, attiverà la regione superiore del cervello e con essa tutto ciò che riguarda la coscienza morale, la voce interiore e l’autocontrollo. Nel cervello di nostro figlio si formeranno delle connessioni, grazie alle quali egli “sente” che è giusto comportarsi in un certo modo e non in un altro. Sarà quindi importante che quel limite venga posto con fermezza ma calore allo stesso tempo. Invece di dire “lascia salire sullo scivolo gli altri bambini o andiamo a casa” potremmo dire “tutti devono poter giocare con lo scivolo”; di fronte ad un brutto voto, invece di dire “ci risiamo!” potremmo dire “sembri delusa da questo voto”; di fronte ad un guaio combinato da nostro figlio potremmo dire “cosa è successo qui?” invece di dire “cosa hai combinato stavolta?”; invece di dire “non parlarmi più in questo modo, fila in camera tua” potremmo dire “penso che tu possa dirlo in modo più educato di cosi”. Tuttavia non è sempre facile assumere un tono fermo, empatico e calmo. Tra gli ostacoli maggiori a mio parere possiamo individuare quello di mantenere sempre la calma e quello di riuscire a dire “no”! Come avrete intuito dalla battuta sopra, faccio parte dei genitori dallo stile permissivo e dire di no a mia figlia di un anno e mezzo mi risulta difficile. Un po’per evitare pianti e urla, un po’per carattere e natura mi ritrovo a dire molto più spesso sì o a non sgridare troppo mia figlia se combina qualche guaio. Mi sono accorta però che questo mi espone ad un livello maggiore di sopportazione dei suoi comportamenti sbagliati e quindi ad un rischio più alto di perdere la pazienza. Ci sto lavorando e a volte riesco a tenere duro, porre dei limiti e ad attivare il comportamento corretto. Se invece vogliamo parlare della perdita della pazienza, penso che da una parte ci si debba accettare per quello che siamo (vedi articolo “Non sono una buona mamma”), dall’altra tenere a mente le tre domande e sapere come funziona il cervello del nostro bambino può aiutarci ad assumere un atteggiamento diverso. E se proprio qualche volta non riusciamo a controllarci non preoccupiamoci: fa parte del mestiere di genitore. Vorrà dire che una volta calmate le acque apriremo un dialogo con nostro figlio e tenteremo di riparare la rottura della sintonia. In fondo a nessun bambino piace avere dei genitori perfetti!