Nel corso della vita potrebbero verificarsi eventi e situazioni negative verso le quali nostro figlio potrà trovarsi impreparato e sentirsi sopraffatto. La morte di un familiare, un corso particolarmente duro e severo, un piccolo incidente avvenuto con la macchina ma anche più semplicemente una storta alla caviglia o il trovarsi di fronte ad un cane che abbaia. Quando i bambini vivono esperienze negative o dolorose in cui si sentono sopraffatti, i ricordi di quell’evento rimangono nel cervello sotto forma di ricordi impliciti: possiamo definire i ricordi impliciti come ricordi di cui non siamo del tutto consapevoli. Quando ci aspettiamo che i nostri genitori ci sostengano o ci consolino perché lo hanno sempre fatto in precedenza è perché ci sono una miriade di ricordi impliciti positivi immagazzinati dentro di noi. I ricordi impliciti influenzano indirettamente il nostro comportamento e possono essere responsabili di reazioni inaspettate e apparentemente inspiegabili o di sensazioni fisiche dolorose. Spesso noi genitori ci auguriamo che i nostri bambini semplicemente si dimentichino delle esperienze dolorose che hanno avuto: questo accade perché accettare che nostro figlio sia molto triste o molto spaventato è una delle sfide più difficili. Ma così facendo corriamo il rischio di delegittimare le emozioni e le sensazioni di nostro figlio. In realtà i bambini hanno bisogno di essere aiutati ad integrare l’esperienza traumatica, a dare significato a quell’evento nel quale si sono sentiti sopraffatti. La parte del nostro cervello che è responsabile di quest’elaborazione si chiama Ippocampo. L’ippocampo ha il compito di ricostruire il puzzle di un evento, di fare ordine tra le immagini, le sensazioni e le emozioni dell’accaduto cosi da dare vita ad un quadro completo e chiaro. È una struttura a metà tra la parte superiore e la parte inferiore del cervello che si occupa di mettere in comunicazione la parte più primitiva del nostro cervello (sede degli istinti e delle emozioni intense come rabbia e paura) con quella più complessa (sede della coscienza, dell’empatia, del ragionamento). Quando un’esperienza negativa non viene adeguatamente elaborata rischia di rimanere nella memoria in modo caotico ed isolato e di influenzare il comportamento nel presente. Avete mai notato che i bambini molto piccoli possono raccontare decine e decine di volte un evento che li ha molto colpiti? Beh, vuol dire che il loro ippocampo si è messo in moto e che stanno integrando! Mia figlia poco tempo fa mentre giocava con la sua amichetta, l’ha vista bloccarsi e piangere improvvisamente perché le era uscito il gomito. Quello che ha visto successivamente è stato un gruppo di adulti visibilmente preoccupati e allarmati radunarsi intorno a questa bambina che (giustamente!) continuava a piangere. Da allora e per tutto il mese successivo ogni volta che in casa veniva fatto il nome della sua amichetta, mia figlia si toccava il braccio con un’aria triste e un tono lamentoso. Il comportamento è cessato solo dopo aver rivisto la sua amichetta in un’altra occasione e situazione: cioè dopo che l’integrazione tra ciò che era rimasto nella memoria e il presente era stata completata. La cosa più semplice da fare quando un bambino si trova a vivere un’esperienza negativa o traumatica è aiutarlo a parlare di ciò che ha visto o sentito. Quando una persona spaventata parla e descrive l’accaduto, l’emisfero sinistro entra in comunicazione con l’emisfero destro o se lo vogliamo dire con altre parole la parte inferiore del cervello comunica con quella superiore. Così facendo il bambino ricorderà l’accaduto ma non lo vivrà più con la stessa angoscia. Lo avrà integrato con normalità come un’esperienza sgradevole del passato. Se vostro figlio si trova a vivere un’esperienza negativa, nel corso dei giorni successivi chiacchierate a lungo con lui dell’accaduto, analizzate le immagini e le sensazioni rimaste impresse nella sua mente e quindi nella parte inferiore del cervello. Fate luce e date spazio al modo in cui si è sentito: legittimate e spiegate le sue emozioni e riflessioni. Se si tratta di un’esperienza avvenuta qualche anno fa, di cui non ha molta voglia di parlare, ma che secondo voi ancora esercita un’influenza nel presente è bene che l’esperienza venga ricordata e che se ne parli: come suggerisce Siegel, potremmo raccontare a nostro figlio che c’è un telecomando della mente che, proprio come quello di un dvd, ci permette di rivivere scene del passato, di spingere il tasto pausa se non vogliamo ripensare a qualche scena e il tasto avanti se vogliamo saltarne qualcuna. Esortiamolo a raccontare l’accaduto presente o passato mostrandoci sempre affettuosi e partecipi: per un bambino piccolo che si senta triste o spaventato la cosa più importante è la possibilità di parlarne e sentirsi capito. Vi riporto di seguito un esempio di conversazione tratto dal libro “Il cervello dei bambini spiegato ai genitori” di A. Bilbao:
Infine, noi sappiamo che la memoria cosi come tutti gli altri organi, più è tenuta in allenamento più è efficiente. Quindi, più i nostri figli si eserciteranno nel ricordare, più impareranno a parlare delle loro esperienze, più eviteranno di dar luogo a ricordi impliciti sconnessi dal presente e sparsi in modo caotico. Quando per esempio nostro figlio torna da scuola invece di limitarci a chiedergli come sia andata, proviamo a chiedergli di raccontarci cosa gli sia piaciuto di più e cosa gli sia piaciuto di meno. Aiutiamo i nostri figli a parlare, raccontare ed elaborare le esperienze negative (ma anche tutte le esperienze quotidiane) e cresceremo bambini sicuri di loro stessi e senza paure.